giovedì 25 febbraio 2010

Chi ci pensa ai praticanti?

Ieri ho presentato un'interrogazione ai ministri del Lavoro e della Giustizia per chiedere se mai si farà luce sul problema dei praticanti.

I nostri giovani, accusati di essere bamboccioni, se dimostrano di essere diligenti e studiosi, di perseguire un sogno come quello di fare l'avvocato o il commercialista, si condannano ad anni di praticantato non pagato che, di certo, è un disincentivo all'abbandono del "nido" in favore della loro vita autonoma.

Ecco che cosa ho chiesto:

BIONDELLI - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e della giustizia - Premesso che:

attualmente in Italia esiste una vasta categoria di persone, nella quasi totalità giovani, costituita dai praticanti le libere professioni;

costoro arrivano a questo traguardo dopo aver conseguito la laurea e devono obbligatoriamente effettuare un certo numero di anni di praticantato, generalmente tre, per accedere al successivo esame di Stato ed ottenere quindi l'abilitazione alla professione;

ad oggi, per questa categoria non esiste una norma che preveda una corresponsione salariale obbligatoria e non esiste alcuna forma di tutela del lavoro venendosi così a palesare una discriminazione rispetto, ad esempio, agli apprendisti, i quali, al pari dei praticanti, si formano sul luogo di lavoro;

un soggetto tipo, che si laurea a 24 anni, è immediatamente "accolto" presso uno studio come praticante ed è in grado di superare a 27 anni l'esame di Stato, arriva al ventottesimo anno d'età senza mai aver ricevuto una corresponsione salariale;

nelle ultime dichiarazioni del ministro Brunetta si sono ravvisati intenti di promozione dell'autonomia dei figli dalle famiglie che, stando alle sue dichiarazioni, sarebbero addirittura incentivabili economicamente dal Governo,

si chiede di sapere se non si ritengano prioritarie azioni di tutela di queste categorie, attraverso opportune norme volte a colmare la discriminazione altrimenti posta in essere.

(4-02762)

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