Oggi in una assemblea congiunta
della Commissione Affari Sociali e Agricoltura della Camera, è stata approvata
la risoluzione presentata dall’On. Taricco e da me in merito al contrasto dell’etichettatura
a ‘semaforo’ intrapresa dall’Inghilterra. Con questo sistema si rischia una
grave penalizzazione dei prodotti realizzati in Italia, visto che si
disincentiva l’acquisto lasciando un messaggio al consumatore di pericolo.
Qui di seguito il testo del mio
intervento per illustrare la risoluzione.
RISOLUZIONE - ETICHETTATURA A SEMAFORO
A tre anni circa di distanza dalla bocciatura da parte
dell’Unione Europea del “semaforo” sui cibi, la Gran Bretagna ci riprova
adottando un sistema di etichettatura che mette in guardia il consumatore sulla
presenza di sali, grassi e zuccheri nei prodotti alimentari.
Si tratta di un altro tentativo di “fuga in avanti”, senza
attendere le nuove regole UE sull’etichettatura nutrizionale previste per il
2014.
Oltre ad essere privo di consistenza scientifica si pone in
contrasto con l’obiettivo di armonizzazione delle regole UE in materia di
informazione ai consumatori.
Al di là, ed in aggiunta, delle considerazioni di carattere
strettamente giuridico ed economico contenute nella proposta di risoluzione
presentata, occorre sottolineare anche un altro aspetto, non meno secondario
del primo, che è quello relativo all’impatto sulla salute della popolazione.
L’etichettatura a semaforo introdotta dal sistema inglese
non solo non aggiunge nulla rispetto alle informazioni nutrizionali già
obbligatorie ma, al contrario, rischia di essere fuorviante ed ingannevole
rispetto alle scelte del consumatore, offrendo messaggi paradossali: stando al
proposto sistema semaforico inglese, dovrebbe essere considerato pericoloso un
prodotto come lo sgombro (pesce sì grasso ma con alto contenuto di omega3 e
polinsaturi “buoni”).
Un conto è semplificare l’informazione, totalmente diverso è
– in nome della semplificazione – dare informazioni sbagliate!
L’etichetta europea, già così com’è oggi, garantisce una
buona informazione al consumatore, con l’indicazione dell’origine estesa ad una
serie di prodotti anche se, come ha ricordato il Presidente della Commissione
Agricoltura del Parlamento Europeo, Paolo de Castro, “l’Europarlamento avrebbe
voluto fare di più ma la Commissione bloccò ulteriori indicazioni”.
In ogni caso le “informazioni al consumatore” varate da
Bruxelles informano sui contenuti ma senza influenzare le scelte. La decisione
della Gran Bretagna, invece, potrebbe porsi in contrasto con il mercato unico,
in quanto l’eventuale “bollino rosso” potrebbe essere compreso acriticamente
dai consumatori come un “allarme” contro il consumo anche di prodotti
agro-alimentari con marchi di qualità e rigidi strumenti di controllo a
garanzia dei procedimenti di produzione.
Infine, se un merito ha la decisione inglese, è solo ed
esclusivamente quello di riproporre il dibattito sull’introduzione ed il
perseguimento di corretti stili di vita. Sicuramente la strada intrapresa,
proprio per l’approccio economicistico e protezionistico da cui parte, si muove
verso una direzione sbagliata. In un paese come il Regno Unito, dove il 60%
degli adulti e un terzo dei bambini sono in soprappeso e dove il 50% della
popolazione soffre di ipertensione direttamente associata ad un eccessivo
apporto di sale, il problema dovrebbe essere quello di come fare una corretta
educazione alimentare piuttosto che introdurre strumenti semplicistici e
proibizionisti per affrontare un problema generalizzato di salute.
Allora, dal punto di vista formativo-informativo, appare del
tutto velleitario credere di poter modificare le abitudini di consumo di una popolazione
con i codici cromatici sulle etichette: piuttosto, servirebbe una seria
educazione alimentare a partire dalle scuole e dai medici/pediatri di base
perché, come ricordato nel testo della risoluzione proposta, non esistono
alimenti buoni o cattivi ma regimi alimentari corretti e non corretti.
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