La relazione annuale del Ministero della Salute conferma che in Italia il ricorso alla interruzione di gravidanza è in calo costante, che i tassi di abortività sono inferiori rispetto agli altri paesi europei, e che pertanto non si può parlare di IVG come metodo contraccettivo.
In effetti, è innegabile che la legge 194 funziona e funziona bene, tant’è che deve essere considerata una legge caposaldo della donna in Italia e della sua tutela.
Una legge che ci mette all’avanguardia nella problematica e che ben si combina con l’introduzione della RU 486: ci si allinea con i paesi europei, recuperando un ritardo che ha penalizzato le donne italiane.
Se nel 1978 era conosciuto solo l'aborto chirugico, metodo per aspirazione, nella L 194 non e' specificato che quello sia l'unico metodo. Anzi a ben leggere nella legge, l'art. 14 "Il medico che esegue l'interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna", e parlando di procedimenti sembra proprio prevedere la possibilità che altri metodi si aggiungano a quello chirurgico: il plurale utilizzato nella legge preannuncia una pluralità di procedimenti. Ma ancora l'art. 15: "Le regioni, d'intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l'aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza" sembra proprio auspicare un aggiornamento delle tecniche più avanzate, in contraddizione con la situazione attuale bloccata ad un metodo sempre valido, ma in alcuni casi certamente superato da quello farmacologico.
E’ infatti previsto che la Ru486 possa essere utilizzata in Italia solo in ambito ospedaliero, così come la legge 194 prevede per le interruzioni volontarie di gravidanza. Nelle disposizioni, c'è un "richiamo al massimo rispetto della legge 194 e all'utilizzo in ambito ospedaliero. Dopo una lunga istruttoria è stato raccomandato di utilizzare il farmaco entro il quarantanovesimo giorno, cioè entro la settima settimana". Entro questo termine, infatti, le eventuali complicanze sono sovrapponibili a quelle dell'aborto chirurgico. Inoltre è da tener presente che la direttiva Europea 2001/83, relativa all’immissione in commercio dei prodotti medicinali, impone che, dopo l’approvazione di un farmaco da parte di uno Stato membro, gli altri Paesi europei possano solo regolamentarne l’uso all’interno delle proprie leggi nazionali e definirne il prezzo (”mutuo riconoscimento”).
Nel caso particolare di un farmaco abortivo le modalità di utilizzo devono essere dettate dalla legge nazionale che regola l’interruzione volontaria di gravidanza, che nel nostro Paese e’ la 194 del 1978.
La richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio del Mifegyne (RU486), che era in uso in Francia da oltre 20 anni e successivamente e’ stato introdotto in quasi tutti i Paesi europei e in molti altri Paesi del mondo, e’ stata presentata in Italia nel 2007.
La normativa europea consente, in assenza di normativa nazionale, che qualsiasi farmaco in commercio in un altro Stato membro possa essere legalmente importato ed utilizzato in tutta la Comunità con modalità diverse. Queste disposizioni hanno fatto si che il Mifegyne (Ru486) fosse di fatto già utilizzato nel nostro Paese fin dal 2005.
L’Agenzia italiana per il farmaco, che aveva il solo compito di verificare efficacia, sicurezza e compatibilità con le leggi nazionali nel rispetto e a tutela della salute della donna del farmaco in questione, ha svolto un lavoro molto attento e meticoloso, prolungando peraltro i propri tempi di verifica per fornire un esito inequivocabile nelle procedure del mutuo riconoscimento relativo al farmaco.
E’ opportuno ricordare che, quale atto medico, la somministrazione rientra nelle competenze del Governo e delle Regioni, che devono emanare, nell’ambito della Conferenza Stato Regioni, le disposizioni per il corretto percorso di utilizzo clinico del farmaco all’interno del servizio ospedaliero pubblico, così come previsto dagli articoli 8 e 15 della legge 194 del 1978.
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